top

Per Una "Nuova" Pastorale Ecumenica
29 luglio-6 agosto 1989

Una pastorale per il Regno (Mt. 4,23 ss) *

GHEORGHIU SPIRIDIONE

Zoppi, ciechi, sordi e molti altri malati, come abbiamo appena sentito, sorelle e fratelli miei, furono guidati sul monte presso il mare di Galilea e deposti ai piedi di Gesù che li guarì. E la folla era piena di stupore nel vedere guariti coloro che appena poco prima erano invalidi e malati, e glorificava il Dio di Israele.

Tutti questi, malati nell'uno o nell'altro modo, non sono certamente fenomeni solo dell'epoca del Vangelo. Vi sono sempre stati e vi saranno in ogni epoca. Vi sono anche oggi tutt'intorno a noi. Si potrebbero anzi assai facilmente paragonare a tanti e tanti uomini della società contemporanea. E non solo con singoli e isolati individui, bensì con interi gruppi e comunità umane di varie tendenze e orientamenti politici, sociali, religiosi e altri. E nel nostro specifico contesto religioso non sarebbe affatto azzardato paragonarli a tanti di coloro che professano Cristo e portano il Suo nome. Poiché chi potrebbe con convinzione e in coscienza affermare che gli uomini che vogliono essere la Chiesa di Cristo, il popolo che crede in Cristo, non accusano oggi segni evidenti di anomalia, come i malati del Vangelo?

Chi potrebbe affermare che in qualche modo non siamo anche noi come il cieco o lo zoppo dell'odierna pericope evangelica, che hanno bisogno della guarigione? Infatti il corpo dei cristiani che non dovrebbe essere che uno solo, e unico, il popolo di Dio che non dovrebbe essere che compatto, unito, unanime e solidale, è al contrario tragicamente diviso oggi. E non solo diviso in due o tre parti, ma frammentato in centinaia di gruppi, comunità, comunioni, congregazioni, confessioni, denominazioni e chiese indipendenti e svincolate l'una dall'altra, completamente estranee e sovente anche indifferenti l'una all'altra, ognuna di esse rivendicando per sé con prepotenza e superbia, se non sempre l'infallibilità la vera fede e la verità assoluta, per lo meno la maggiore correttezza e la più profonda fedeltà al Vangelo di Cristo rispetto agli altri. Per non parlare poi delle vecchie e più recenti inimicizie tra di loro.

Ma se questo è vero, è altrettanto vero che la maggioranza di questi gruppi, comunità e chiese profondamente divisi, nonostante le loro divergenze e talvolta anche le loro tradizionali inimicizie, svolgono oggi sforzi seri sistematici e intensi, talvolta più sinceri e talvolta meno, per migliorare questa tragica immagine che il cristianesimo presenta duemila interi anni dopo la venuta di Cristo, per ridimensionare i loro reciproci rapporti e soprattutto per riunire quanto è diviso.

Quest'ultimo punto, cioè la riunione di quanto è diviso, suscita addirittura tra i cristiani di oggi un entusiasmo generale per l'unità tra le Chiese. E non è altro che un invito comune dei cuori degli uomini ad un'armonizzazione del « passato » spirito cristiano indiviso con quello « dominante ». È un cammino identificato o anche « assimilato » del cristianesimo uno e indiviso con il futuro.

Però questa identificazione, l'assimilazione dello spirito cristiano, sono raggiungibili solo con le forze del centro della spiritualità dell'uomo, il suo cuore. È la teoria e la versione mistica, biblica o se volete, anche extra-scientifica, che comprende e accetta il cuore come la fonte che effonde le forze che equilibrano la vita. Il sacro amico tra ragione e sentimento. Solo un Platone potrebbe descrivere l'importanza dell'elemento spirituale. Il Patriarca Atenagora, certamente il maggiore e più autentico protagonista dell'ecumenismo dei decenni '50 e '60, credeva e proclamava in modo assoluto: « Solo con il cuore si compirà il progresso nell'ambito dell'unità delle Chiese ».

Il cuore è fattore di conoscenza sovrannaturale. È in questo che i Padri pongono la sede dell'anima. In questo collocano le passioni che sono, nella espressione patristica, « pensieri con forza di abitudine ».

Abbiamo una bella definizione di Fichte: « Le nostre azioni sono la storia dei nostri cuori ». Questo coincide con la teoria da molti professata e secondo cui la storia intera sarebbe scritta da sensi e sentimenti, da simpatie e antipatie che si annidano nel cuore. Solo allora analizziamo o incontriamo la simpatia o l'antipatia nude, quando le conosciamo prima che giungano al cuore. Cioè quando vengono coltivate ancora come motivo e forza, e finiranno per insediarsi nel cuore come dee incontrastate, come fattori che possono scrivere o anche mutare la storia.

Quando i cuori sono infiammati o per amore o per verità o per fede, allora non vi è rottura tra pensiero e azione. Vi è l'unità ricercata dallo spirito. Vediamo tale verità nel pensiero di Luca e di Cleofa, quando dicevano: « Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino? » (Lc 24,32)

Quindi con il cuore « ardente » come condizione prima, cominciamo a salire anche noi, i ciechi e i sordi e gli zoppi della contemporanea realtà cristiana, e deponiamo noi stessi ai piedi di Gesù, chiedendo la guarigione: il ristabilimento della comunità cristiana una e sola. Se infatti disponiamo di tale cuore e se con tale cuore chiediamo la guarigione della nostra situazione irregolare e ammalata, Gesù, siamone certi, non potrà che indicarci la strada da seguire nei nostri sforzi umani, nelle nostre ricerche e discussioni umane in favore dell'unità.

Senza rendere il cuore « ardente », la nostra opera ecumenica rischia di rimanere priva della forza che dovrebbe animarla. Si deve finalmente capire che senza un cuore ardente il nostro ecumenismo rischia di ridursi a sentimentalismo semplicistico o a scientifismo cerebrale.

Privi di cuore ardente i nostri contatti non potranno mai diventare incontri, veri incontri in cui una parte porta il suo segreto all'altra, segreto che ci libererà dal nostro triste isolamento, dalla nostra ormai permanente sterilità, dal riposo esclusivo sui nostri tesori, sulle nostre ricchezze spirituali. Le tradizioni, la saggezza e le liturgie, il grande passato sono certo i nostri tesori, le nostre ricchezze, non però la nostra strada. Privi di un cuore ardente non potremo mai scoprire il mistero dell'altro, né comprendere il messaggio che porta l'incontro con lui.

Con un cuore ardente saremo colmi di attesa e di speranza, ci muoveremo non verso il passato, ma verso il futuro; e solo allora ci troveremo nel vero incontro, ove non riveleremo noi stessi, bensì il Signore che è la nostra sola speranza.

Solo con un cuore ardente porteremo il nostro contributo affinché l'opera unificatrice di Cristo diventi veramente universale, come scrive Paolo nelle sue Epistole: un « avvenimento sovrannaturale » che impressiona perfino le potenze angeliche.

Solo allora la grande opera del ristabilimento della comunità cristiana sarà menzionata nella storia come la grande speranza sacra arrivata dopo la venuta di Cristo e solo allora, come una volta presso il mare di Galilea, sarà veramente glorificato il Dio d'Israele.

_____________

* Omelia tenuta durante la celebrazione della Divina Liturgia Ortodossa.

[ Per Una "Nuova" Pastorale Ecumenica - Atti della XXVII Sessione di formazione ecumenica organizzata dal Segretariato Attività Ecumeniche (S.A.E.) - La Mendola (Trento) 29 luglio-6 agosto 1989 - pp. 201-203 ]